Ethan Frome. Edith Wharton.

Ethan Frome libro

Ethan Frome. Edith Wharton.

I migliori se ne vanno.

 

Così avrebbe voluto Ethan Frome: andarsene e lasciarsi alle spalle Starkfield e la desolazione che il Massachusetts portava con se, come un prigioniero la sua catena.

E quasi c’era riuscito se non fosse stato costretto a tornare alla fattoria di famiglia per prendersi cura degli anziani e malati genitori prima e successivamente della moglie, l’arcigna e ipocondriaca Zeena.

 

 

Solo l’arrivo della giovane cugina della moglie, Mattie, apre per Ethan uno squarcio di speranza per fuggire da un’esistenza inconsistente e si trasforma in una boccata di vita e amore per un uomo sopraffatto da una prematura e ingrigita quotidianità.

 

 

Ce l’aveva quasi fatta, Ethan, a essere tra quei “migliori”, ma le cose non gli andarono un granché bene.

 

 

Malattie e dispiaceri: ecco cosa è stata la porzione ben colma di Ethan, fin dalla prima portata.

 

 

Pubblicato per la prima volta nel 1911, Ethan Frome di Edith Wharton, che ho letto nell’edizione della BUR-Rizzoli, tradotta da Greti Ducci e impreziosita da una introduzione del critico letterario Harold Bloom, è un romanzo breve ambientato in quegli stessi luoghi di montagna del New England in cui l’autrice visse per dieci anni e che per anni aveva desiderato ritrarre.

 

 

Quella di Frome è la tragica e mesta storia di una libertà e una felicità irrealizzate, di una fuga mancata dal suo piccolo e provinciale mondo, depresso e desolato. Ma cosa impedisce a Ethan di andare via e vedere il mondo? Non avvenimenti esterni che incombono su di lui inesorabili, ma la sua apatia interiore. Il mondo che vorrebbe vivere, lui, può solo immaginarlo in un atto di volontà che precipita sempre nell’impotenza. Ethan Frome sembra immolarsi a un fatalismo che, nel corso della narrazione, si scopre essere di superficie, poiché l’unico reale impedimento alla sua libertà è lui stesso. Un aspetto psicologico talmente radicato nel suo animo da preferire un’eterna condanna a ciò che risulterà essere fin peggio della morte: una vita da morto. Le catene che lo tengono imbrigliato a un luogo che detesta, a un matrimonio che non vuole e a una vita misera sono costruite dalla sue stesse mani a colpi di codardia.

 

 

E se anche per qualche attimo il protagonista sembra illuderci di volersi ribellare a questa infelice e avversa condizione interiore, in nome dell’amore che prova per Mattie, questo moto rivoluzionario è destinato a spegnersi nell’inerzia e nell’assenza di volontà. Ethan è l’eterno procrastinatore, non sceglie mai la libertà, qualsiasi espediente esterno risulta funzionale a garantirgli un posto nella sua gelida e sicura immobilità.

 

 

Il gelo. Tutto il romanzo è attraversato dal freddo di un inverno che travalica il ruolo di mera ambientazione per assurgere a quello di un vero e proprio protagonista. “Inverno” è una parola ricorrente nel romanzo, una presenza costante, senza la quale probabilmente la storia di Ethan non sarebbe stata scritta. 

 

 

Sembrava far parte del muto, malinconico paesaggio, una incarnazione del suo gelido dolore, con tutto ciò che di caldo e di sensibile vi era in lui ben sepolto sotto la superficie.

 

 

Ma non è solo l’inverno a divenire allegoria psicologica del protagonista. Tutto l’ambiente che lo circonda è emanazione della sua personalità. Dalla descrizione del suo mulino “morto e disabitato” all’aspetto “triste e mutilo” della sua abitazione dovuto alla mancanza di quella parte caratteristica a “L” delle case del New England, simbolo del focolare domestico. Una casa mutilata che diviene immagine del corpo stesso di Ethan, anch’esso mutilato. La natura, che permea ogni pagina del romanzo, parla al lettore, racconta la storia di Ethan, perché parte della sua essenza.

 

 

Il linguaggio di Wharton risulta ricco di metafore, suggestive similitudini e allegorie che attraverso immagini emotive rendono i personaggi veri, tangibili e dotati di un fascino perturbante. Uno stile elegante e profondamente evocativo veste questa storia dal ritmo incalzante, capace di stuzzicare la curiosità e l’emotività del lettore in una esperienza totalizzante e immersiva.

 

 

E come non sentire in Ethan Frome gli echi di altri capolavori della letteratura? Dalle cupe atmosfere e dalla struttura narrativa di Cime Tempestose di Emily Brontë all’esistenza desolante dell’indimenticabile Stoner di John E. Williams,  per citarne solo alcuni. E sebbene il mondo rurale di Ethan Frome sia distante da quello dell’high society newyorkese ritratta nel romanzo L’età dell’innocenza (che valse a Wharton il premio Pulitzer nel 1921), un fil rouge sembra attraversare le due storie: come il giovane avvocato Newland Archer, Ethan Frome si condanna con le proprie mani al rimpianto soffocato di una vita inespressa, all’essere seppellito vivo nel suo futuro.



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