E il Rosso intonò una canzone. Francesco Marchi.

Libro tenuto in mano E il rosso intonò una canzone

E il Rosso intonò una canzone. Francesco Marchi.

“Nei Jukebox risuonava Sono solo canzonette, un aereo sprofondava negli abissi del Mediterraneo con il suo carico umano e a Roma i fascisti assassinavano un magistrato che indagava su di loro. Era il preludio di un’estate che non sarebbe stata come le altre”.

Come tramandare la memoria storica di generazione in generazione?

I nomi, le date, i numeri sono importanti, certo. Poco però si parla di quella memoria che definisco emotiva, altrettanto fondamentale, che racchiude i sentimenti, alla mercè delle contingenze storiche, di coloro che attentati e stragi li hanno visti con i propri occhi. 

Questa memoria ho ritrovato nel libro di Francesco Marchi “E il Rosso Intonò una Canzone” pubblicato dalla Casa Editrice Scatole Parlanti. Una memoria che riporta indietro le lancette del tempo fino a quelli che vengono chiamati “Anni di Piombo”.

Marco è un giovane agente di polizia che nell’autunno del 1979 viene assegnato alla DIGOS della Questura di Milano dove si scontrerà con gli anni più duri della lotta al terrorismo, in un clima di forte esasperazione conflittuale. Sarà proprio la bomba alla stazione di Bologna del 2 Agosto a far riflettere Marco e i suoi compagni sul senso del proprio lavoro. La Strage è di Stato, dicono tutti, proprio quello Stato che loro, come poliziotti, difendono. 

Il libro è attraversato da un senso di solitudine che scaturisce dalla presenza di una frattura profonda tra due mondi, rappresentati da Marco, il protagonista, e da Nadia, la sua fidanzata. Da una parte il mondo di chi lo Stato è chiamato a difenderlo rischiando la propria vita e dall’altra il mondo della gente comune, che in quello Stato arrivava a vedere un nemico. 

Solitudine tra queste pagine, ma anche precarietà. Precarietà della vita di Marco e dei suoi compagni poliziotti, precarietà delle relazioni, poiché da un momento all’altro tutto può essere spazzato via da una bomba o da un proiettile.

Nella testimonianza di Francesco Marchi, che si tiene lontano dal citare avvenimenti, date e persone reali, emerge la violenza incontrollata che regnava in quegli anni in una visione di mondi contrapposti, in cui tutto era politica. 

Conosciamo quali potevano essere le aspettative, i dubbi, le paure ma anche la disillusione di coloro che gli anni di piombo li hanno guardati in faccia. Un mondo che non ho conosciuto, ero appena nata in quegli anni, ma che grazie a questa testimonianza mi è stato restituito, vivido come un’emozione. 



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